venerdì 9 marzo 2012

MOTODAYS ROMA 2012

ciao Ragazzi!! volevo comunicare che domenica 11marzo2012 sono ospite al padiglione 6 dai ragazzi di Mototurismo! faremo una breve chicchierata con tutti ed è anche una buona occasione per vedersi! ah, ricordo ancora a chi non mi ha inviato la sua mail, che se vuole essere inserito nella mailinglist per tenersi informato su prossimi incontri, appuntamenti, novità, ecc di mandarmi una comunicazione a: info@vespanda.com CIAO!!!

giovedì 26 gennaio 2012

lunedì 23 gennaio 2012

Post viaggio 3 – 23gennaio2012, Versilia

Stasera non scrivo le mie memorie di viaggio, stasera avevo promesso di aggiornare un po’ questo blog…e quindi eccomi qui! Allora come va ragazzi??!! Dopo il capodanno turco direi che la mia vita si è un po’ dirottata e concentrata sull’argomento ‘stesura opera omnia’. Come avevo preannunciato al pranzo di dicembre sono venuto a ritirarmi in Versilia, cercando un po’ di concentrazione… e direi che qui di concentrazione ve ne è parecchia. È che non ho la televisione che funziona, sono sperduto in un quartiere morto di una zona sì abbastanza turistica, ma solo d’estate. E poi, a me, il mare d’inverno, piace parecchio! Ormai è che con questa zona, in questo periodo dell’anno, ho instaurato un rapporto che definirei ‘personale’. Mi ricordo i miei capodanni qui a Marina di Pietrasanta, con il nulla tutt’intorno… e poi il periodo di clausura che seguì a quell’altra stesura di quelle altre memorie di quell’altro viaggio. Insomma, starmene qui a fare niente se non scrivere e leggere, per me è una gran bella vita. Ma sia chiaro, non è che il mio rapporto con la società sia morto e sepolto! Anzi, proprio grazie al viaggio mi hanno contattato dei ragazzi di Viareggio, che sapendo che ero da queste parti, hanno fatto sì che ci si incontrasse. Uno è Federico, proprietario di una Vespa. Gli altri due sono invece due ragazzi in viaggio di nozze che incontrai in California ‘on the road’, che mi fermarono vedendo una Vespa stracarica in mezzo ad un deserto con 40°C… E poi, grazie alle visite dei fine settimana della mia ragazza e di qualche mio amico di vecchia data, ho anche occasione di girarmi un po’ la zona, che conosco bene, ma che fa sempre piacere rivedere. Tra l’altro, la scorsa settimana sono andato a Pontedera, a parlare con quelli del Museo Piaggio. Ci eravamo scambiati un po’ di mail a fine anno scorso. Dovevamo definire quell’argomento che vi svelai al pranzo: la sosta della Corazzata al museo! Ho trovato persone gentilissime, che si sono dimostrate subito molto interessate. Anzi, mi hanno offerto visite guidate al museo per il giorno che ci porterò la mia bestiola. L’idea è quella di fare un Viareggio – Pontedera tutti in carovana. Una 30ina di km con tutti i vespisti che spero di raccogliere e unire per l’occasione. Mi piacerebbe venisse fuori qualcosa di bello. Magari che ne so, anche una visita alla catena di montaggio dove producono la Vespa non sarebbe male… ma adesso sto iniziando a fantasticare!però sarebbe fico… Comunque immaginare la Corazzata al Museo Piaggio è proprio una gran cosa. È uno ‘sfizio’ che direi si sono tolti in pochi! Ma se lo merita la mia piccola credo, almeno per me, è la migliore! Comunque sia chiaro, una sosta fino a tempo da definirsi!!! Intanto ammetto che qui in Versilia non ho alcuna Vespa… però almeno mi godo la mia vecchia Lancia Appia classe 61. Una gran macchina davvero, che mi ha fatto fare il Passo della Cisa senza batter ciglio. Ora giro con lei. È un piacere guidarla…anche se certo… muovere un po’ il polso sinistro per cambiare marcia mi manca. Vi metto alcune foto della zona, un abbraccio! Ps state connessi che ne arriveranno presto delle belle, per il museo e non solo!

domenica 8 gennaio 2012

venerdì 6 gennaio 2012

Post viaggio 2 – milano, 5.1.12

Che Istanbul fosse una città bellissima già lo sapevo da quando la visitai tre anni fa per la prima volta. Ci sono tornato per questo capodanno non rispettando uno dei miei principi: tornare nel medesimo posto prima di aver visto tutto il resto del Mondo (e ne manca ancora parecchio direi). Ma ne valeva la pena, ha riconfermato il suo fascino indiscutibile. Crogiuolo di culture millenarie, lì dove l’’occidente’ termina e inizia l’islamico medio oriente. Tracia e Anatolia, in un equilibrio che dura da secoli, da Bisanzio e da Costantinopoli, tra la basilica di Aya Sofia e la Moschea Blu. Ultimo e primo lembo di ceppo arabo messo sotto assedio della globalizzazione d’Europa, proprio quell’Europa che durante epoche di sceicchi e sultani solo con tanta fatica riuscì a penetrare oltre le alte mura. Epoche lontane dove le culture di un popolo erano plasmate e derivate da guerre che delimitavano chirurgicamente territori sconfinati. Contrariamente ad ora, dove le culture e le società viaggiano su frequenze radio e televisive, connessioni internet con fili e senza fili. Ma in verità di fili, di fili conduttori ormai se ne sono perse le tracce. Ormai è tutto un bel calderone, dove distinguere la varietà di definite culture è sempre più difficile. Per poterlo fare bisognerebbe uscire dalle mura di palazzi e tangenziali, spingersi ancora più a est, salire sull’altopiano anatolico, e allora lì sì si può captare segnali di connessione, non internet ma con i passati neanche tanto remoti. In ogni caso, ad Istanbul ci si va per infarinarsi un po’, magari tra le spezie del Bazar egiziano o nell’azzurro irradiato dalla grande cupola piastrellata della moschea di Sultanhamet. Si va ad intrufolare lo sguardo tra una cultura difficile da percepire, ma che ancora si mostra dietro nuche coperte da un velo, o muezzin che diffondono la preghiera araba, il loro lamento quasi di pianto, sincopato, interruzioni improvvise che scendono da antenne di cemento puntate verso il cielo. Un canto che manda gli uomini per terra e li indirizza alla grande pietra nera. Un qualcosa di autentico, un complesso differente che per chi poco viaggia spesso si trasforma in paura, e la paura si trasforma in giudizi, spesso manichei e al sapore di presunta superiorità professati da sedicenti paladini verdi che svendono fobie per voti. Invece, coloro che hanno gli occhi per osservare e la mente non per giudicare, ma per imparare, apprezzeranno le diversità che creano bellezza. Ma la bellezza di Istanbul non deriva solo dalla sua cultura millenaria. La bellezza è qualcosa di più armonico, sensuale, ma soprattutto nascosto. La bellezza è sì il Topkapi, la piazza di Sultanhamet, i gran bazar di spezie o di mercanzie, di ponti sul Bosforo e sul Corno d’Oro, di marmi di bagni turchi e di lunghi canti ad una sola nota, di cani e gatti che passeggiano liberi e senza padrone per il centro della città, ma è anche intrufolarsi nelle vie meno battute dall’occidentale. La bellezza si esprime anche in un vicolo pieno di botteghe che vendono materiale da pesca e capannelli di gente che conversano sorseggiando il loro çay. Osservare le ritualità del quotidiano sparse tra bancarelle che offrono pesce fresco e l’animosità formicolante di uomini e donne intenti a contrattare questo o quello. Perché anche contrattare è una ritualità, un rito che racchiude bellezza e che si tramanda da decine e decine di generazioni. Il turista potrebbe credere che sia una sorta di fregatura impacchettata e propinata a chi come lui, arriva da lontano. Invece no, invece è l’essenza di quel commercio che muoveva carovane e flotte di epoche passate, l’essenza del commercio e del commerciante che cerca di piazzare meglio che può il suo prodotto esotico. È un gioco fra le parti. La controparte in compenso si deve mostrare non interessata, al massimo fare una controfferta, un terzo del prezzo di partenza di solito è il prezzo più giusto. È una pantomima deliziosa, sempre immancabilmente uguale a sé stessa credo dall’epoca della via della seta. Poi ci si spinge ancora un po’, un po’ di più per il quartiere che manca di decorazioni, per il quartiere autentico e non atto a chi vuole scattare foto ricordo, ma d’uopo per chi cerca d’afferrare un po’ di più qualche filone di essenza. E magari, se si ha fortuna, si arriva fino al chioschetto che vende kebab servito su tavolini messi alla bene meglio tra marciapiedi e angoli di strade e stradine non troppo in vista. Ci si siede e si assapora la vera fragranza di piatti semplici, abbondanti ed economici. Di carne di tacchino o manzo servita con i consueti cetrioli o pomodori, di riso ai ceci e fagioli, e un bicchiere di ayran. Ora lascio che parlino le immagini, qualche scorcio di questa città di cui davvero consiglio la visita! Filmino 1: . Filmino 2

giovedì 29 dicembre 2011

BUONE FESTE DA ME E LA CORAZZATA

Post viaggio 1 - Modena

Vigilia di Natale 2011, Modena. Italia. Mi riaffaccio qui, su questo blog perché mi mancava. Mi mancava scrivere, mi mancavano le risposte. Anche se alla fine non mi manca il viaggio che raccontò. Probabilmente non mi manca ancora. Ogni tanto affiora, strizza un po' i ricordi, ma è qualcosa di leggero e fugace, per ora. Ieri ad esempio stavo rimettendo in ordine tutti gli oggetti e attrezzi che ho tirato fuori dalla cassa, la cassa ritirata due giorni fa alla dogana di Milano e contenente tra l'altro la Corazzata. Chiavi inglesi, tenaglie, ricambi, l'impermeabile giallo, i caschi. E me li toccavo con mano, li pulivo. L'impermeabile giallo che alla fine non è altro che un poncho regalatomi da Enrique la prima volta che arrivai a Città del Messico. Il suo odore forte di gomma che mi rimanda istantaneamente a quella notte passata in mezzo al mare dei Caraibi, sulla barchetta sbattuta dalle onde e dai venti. Ce l'avevo addosso. Oltre ad esso solo le mutande bagnate, fradice, ormai inzuppate dell'acqua salata che entrava dentro la stiva a fiotti, mentre ero seduto per terra e non riuscivo ad alzarmi. Vomitai nel suo giallo parecchie volte, almeno tutte le volte che tentai di alzarmi. Il suo odore di gomma che riconoscerei dovunque, comunque e sempre. Poi i due caschi, quello bianco modulabile comprato a Medellin e il mio vecchio jet nero, inseparabile compagno di viaggi, ormai rotto in diversi punti ma con la forma esatta e millimetrica della mia calotta cranica. Quindi la pompa per gonfiare i copertoni, che tante volte mi salvò e mi permise di rimettermi in viaggio dopo qualche foratura. Gli attrezzi, di cui sono gelosissimo. Attrezzi del mestiere, indispensabili tutti. Compagni anch'essi di viaggio. La chiave numero 10 e la 11, le più usate. Poi la 8 per i morsetti. La piccola pinza dei seeger, per me il vero capo officina della mia cassettina attrezzi.
Ripongo tutto in un angolo circoscritto della mia officina. Anche il flaconcino verde comprato in Brasile che usai come contenitore per le emergenze. Quindi le tre candele che hanno fatto esplodere per migliaia di chilometri la miscela sulla testa del pistone. Un'enormità di chilometri ciascuna.
Ci tengo a non mischiare con tutto il resto quello che tiro fuori dalla cassa. Forse un modo per lasciare definiti il più possibile i ricordi, non confonderli con tutta l'osmotica miscellanea di cose che altrimenti prenderebbero il sopravvento. Si meritano un posto di riguardo. Una mensolina tutta loro.
Lavo anche la Vespa. Ancora sporca di terra dell'altro continente. Un po' mi dispiace toglierli la patina incrostata che si è trascinata dietro da quell'altro Mondo. Ma credo però che una sana lucidata alla carrozzeria ammaccata sia doverosa. Rispettosa. Passo la spugna sul colpo della sacca sinistra. Dapprima fu la strusciata che si prese quando cadetti in Argentina, poi fu la bozza che si prese quando la trasportarono a Cuba, sdraiata sul pallet che fecero entrare nella stiva dell'aereo. Poi il lato destro, quello delle bandierine. Alcune sbiadite, alcune altre che si sollevano dagli angoli dalla colla sciolta al sole e tolta con la pioggia. Altre al loro posto, belle come l'istante in cui le appiccicai, con orgoglio e soddisfazione, piccole medaglie al merito. La pedana, incrostata di terra e grasso, quel grasso appositamente messo per non farla arrugginire dalla pioggia. Il parafango con cui colpii in pieno lo spartitraffico in mezzo all'autostrada poco sopra Oaxaca-Messico, che si insaccò e ammortizzò l'urto. Un'ultima mano di cera sullo scudo, verde e fiero, di lamiera massiccia, da vera e propria Corazzata. Una passata anche sul parabrezza spezzato in due dal vento e dalle vibrazioni dello sterrato della Terra del Fuoco, incollato da una striscia di nastro adesivo rosso che fa tanto ‘mezzo di lavoro' degli anni 50, quando i furgoncini e i camion avevano l'obbligo di pitturare una striscia obliqua che li identificasse.
Ogni singolo suo centimetro di lamiera racconta qualcosa, si porta dietro qualche ricordo da raccontare a chi vorrà sentirlo, o da tenermi per cullarmici un po' quando ne avrò voglia. Lo stesso per tutto il resto, per tutto quello che ne è uscito dalla cassa di legno proveniente dalla dogana di New York. Affetti personali di gran valore.
Provo anche ad accenderla, la voglio sentire vibrare, parlarmi. Voglio annusare la sua miscela, il suo odore. Tiro l'aria e do qualche pedivellata. Non si accende. Vanno a vuoto. Pulisco la vecchia candela color nocciola che ha dalla Colombia, e che si è fatta Panama, Cuba, Messico e Stati Uniti. Ma anche così pare non ci siano segni di vita, eppure vi è corrente. Altre compressioni sulla pedivella e finalmente prende vita! Un respiro asmatico e faticoso, instabile. Sento che qualcosa non va. Ormai la conosco bene, riconosco ogni suo minimo sintomo. È semplicemente il motore ormai spompo. Il suo cilindro rovinato, i suoi manovellismi a brandelli. Non so se sarebbe in grado di fare ancora mille chilometri in questo stato. Probabilmente no e allora prendo coscienza che ce l'ha proprio messa tutta per riportarmi fino alla meta finale del mio viaggio, non le potevo chiedere di più. È giusto che ora si riposi, al caldo e coccolata. Sfiorata ogni tanto dai miei sguardi di complicità e qualche carezza che le passo sul fanale, come sempre, come facevo sui sassi grandi come palle da tennis della Patagonia desertica, o lungo il mare brasiliano, per le stradacce del centro America, o nei parchi degli Stati Uniti, per il rigagnolo di strada verso il Mar Artico in Alaska o tra le foreste di pini della Caretera Austral in Cile.
Detto questo, continuerò a scrivere su questo blog, spero con cadenza settimanale. Non so di cosa. Di quello che passerà al convento cercando di non cadere mai nel banale. Scusa per continuare a sentirci? Probabilmente. Ha ragione Rapetti quando dice che questo blog ha rappresentato molto, per me soprattutto e per tutti quelli che l'hanno seguito. Chiuderlo o mummificarlo per lasciare il ricordo del viaggio circoscritto, per accostare questa pagina web ai soli 83mila chilometri sarebbe un po' triste, no Pandino? Perché i nostri sentimenti non sono semplici attrezzi o flaconcini di plastica verde da mettere su una mensola a parte. Sono invece qualcosa che hanno una dinamicità, una evoluzione che credo sia giusto raccontare, raccontarci, non disperdendo quel fascio di legami e ‘buona onda' (come dicono spesso in Argentina) che si è venuto a creare in 18mesi. Ok, non sarete, saremo, più seduti sulla corazzata, ma di seggiole e divani ve ne sono tanti al mondo. E poi, ogni viaggio nasce da sopra una seggiola o un divano. Quindi, motivi e supporto per continuare a sognare ve ne sono parecchi!